Iodio. Chi parla di cose che non sa e avrà un futuro assai triste
Stavo bevendo un caffè ciofeca e volevo leggere, con la passione che merita, il solito Littell, poco fa, ma non ho potuto. Mi ero trovato una comodissima postazione nel café des Lettres, con una fonte di luce potente alle mie spalle, un tavolino dove poggiare il gobelet, e invece niente. Quelli parlavano e io non potevo. Con “quelli” intendo un gruppo così composto: lui, polo a righe orizzontali (anche io oggi ho una polo a righe orizzontali maa differenza di lui, posso permettermelo perché non diventano ondeggianti dune a livello della panza), calvo al massimo entro cinque anni, barba non particolarmente curata, lei, assai curata, maglioncino giusto, scarpe giuste, atteggiamento giusto, odiosa, l’altra, banale, capelli normali, abbigliamento normale, occhiali normali (montatura di metallo argentato, pensate…). Sono appollaiati sul trespolo attorno a un tavolino, hanno appena terminato di mangiare e si sentono in dovere di parlare di letteratura. Nel giro di quattro secondi netti li decodifico come italianisti e ignoranti. Su “italianisti” potrei sbagliarmi, su ignoranti bah, magari sbaglio anche qui ma sentite cosa si dicevano. Il mènage mi è stato chiaro dopo un po’ ma a voi lo rivelo subito:tutti volevano fare bella figura e quindi si riempivano di parole stonate e di concetti smodati, esprimevano giudizi tagliati con l’accetta ma senza una minima competenza. Ecco, io odio come poche cose al mondo chi si prende troppo sul serio, chi studia una cosa e quando ne parla cambia tono, espressione del volto, inclinazione del cranio. Ora, tipa Giusta, perché devi commentare Tabucchi, se poi mi dici che non l’hai mai letto? E perché devi farlo con quelle parole che sembrano copiancollate da un manuale di letteratura per le scuole? scuole medie, tra l'altro. E tu, tipo Brutto, perché devi confondere continuamente il termine “sociale” e “politico”? politica non è una parolaccia, una cosa di cui non si deve parlare anche se lo so che dalle tue parti (che poi sono le sue) è così. E perché, tipa Normale, devi dire che in Sostiene Pereira non c’è un adeguato approfondimento storico? E cosa è, un tema della maturità? Non si può scrivere un libro con una ambientazione, evitando di snocciolare dati e date? Soprattutto, Giusta, non ti consento di farneticare su racconto & romanzo. Perché no, tipa Giusta, non vuol dire niente che “se uno scrive un racconto o scrive un bel racconto o scrive una cosa proprio brutta” e vuol dire ancora meno se lo dici con ‘sto accento lagunare e ‘sta espressione beota. No, Giusta, i libri non si misurano in pagine e quindi un racconto non è un romanzo scritto in meno pagine, no. E soprattutto il problema della letteratura, ammesso che tu possa davvero individuarne uno, non è che escono troppi racconti perché tutti dopo aver scritto un romanzo scrivono dei racconti perché ci si mette di meno e perché devono pubblicare qualcosa per forza. Ma tutti chi?
Mentre tutte ‘ste farneticazioni avvenivano, io mi contorcevo sulla sedia, cercando sguardi di complicità da qualche italofono ma l’unico che c’era, stava leggendo Fred Vargas e non voleva che nessuno lo decrittasse come italiano, lo stronzo. Io mi contorcevo, sarei intervenuto ma non mi pareva il caso. Alla fine è risultato che la Giusta è la donna più cretina mai nata, commentava ogni frase e contestava ogni virgola per partito preso. Come faccio io, ok, ma io lo faccio meglio. La tipa Normale diceva molte sciocchezze ma ho capito dopo un po’ per quale motivo cercasse di dimostrarsi saggia e l’ho scusata. Inspiegabilmente, perché il mondo è inspiegabile quanto stupido e stronzo, la Normale voleva fare bella impressione sul Brutto. Non soltanto culturalmente: quella se lo voleva proprio fare. Il che ha dell’orrido, ma voi potete solo immaginare quanto. Secondo me la Normale, che era molto più carina del Brutto, come dice il nome, è una di quelle che sopravvaluta la testa delle persone perché credono che stia bene così, perché credono che le apparenze siano una cosa disdicevole e che la bellezza sia solo quella interiore. Di più: credono che sia meglio essere un po’ brutti e che se uno non lo è beh… sarà superficiale. La Normale, e quelli come lei, crede che uno che studia Joyce (il Brutto se ho ben capito ama Joyce, il che spiega perché dicesse meno stronzate delle altre e perché fosse così taciturno) debba essere la persona giusta per lei: Sa tante cose.... La Normale, e tante e tanti come lei, non sarebbe nauseata all’idea di andare con un bel figo che studia giurisprudenza o che fa ilcommesso in un negozio di telefonini, ma sente che in qualche modo non dovrebbe farlo perché la bellezza è una cosa brutta. Non so se sia colpa del cattolicesimo o di Alessandro Canino, del comunismo austero o di Ritanna Armeni, però alla fine la Normale assomiglia a quelle che vanno a miss Italia, con ladifferenza che alla fine lei resterà coerente alle frasette che va dicendo e si metterà con uno come il Brutto che pensa più a Joyce (o alla chirurgia vascolare, o al diritto amministrativo, o alle turbine) che a lei, soffrirà come una cagna per tutta la vita e poi, quando avrà 50 anni, scriverà a Natalia Aspesi una lettera coltissima e appassionata che verrà pubblicata sul Venerdì con una crudele risposta della giornalista. Ora, io esagero ma è evidente che nell’interesse della Normale per il Brutto non c’è nulla di spontaneo e almeno l’attrazione dovrebbe esserlo, no? Come se questo non bastasse (voi avete capito, la Normale mi fa incazzare ma alla fine mi riempie di tenerezza) la Giusta se ne frega del Brutto ma vuole fare la star e si mette a contestare ogni frase della Normale e poco importa se le frasi fossero effettivamente contestabili. Il risultato è un teatrino piuttosto fastidioso ma anche decisamente interessante, con dinamiche un po’ piatte a causa dell’insipienza del Brutto e della sciattezza dei personaggi. Vi risparmio le disquisizioni su Pirandello ("In fin dei conti è sempre rimasto un teatrante”), su Sciascia (“Non era tanto bravo a scrivere romanzi, infatti scriveva racconti lunghi” e soprattutto “Ma quante pietre miliari della letteratura italiana ci ha dato la Sicilia? Fino al celeberrimo Camilleri, no?” senza farsi mancare l’atavistico “Secondo me gli scrittori che vengono dal Sud non sono tanto bravi con i romanzi, preferiscono scrivere racconti” e Tomasi di Lampedusa e Verga si fottano) e su Caos Calmo (l’unico libro di cui parlano di cui è evidente che l’hanno letto).
Non vi risparmio la scena finale, però. “Andiamo a prendere un caffè?” dice la Normale, e si alzano come un sol uomo, dirigendosi verso l’uscita. Poi la Normale si rivolge tremebonda al Brutto: “Il modo il cui tu analizzi i romanzi è… a 360 gradi… tu fai attenzione anche agli aspetti narrativi, alla costruzione dei personaggi… il mio sguardo è più sulla storia, la vicenda, l’ambientazione…”. “Ma no" risponde lo scellerato "non credo sai? Anche tu quando leggi, leggi con attenzione…”.
Negli occhi della Normale un brillio sgomento e nel mio profondo la certezza che soffrirà tanto.